TEGNUE DELL’ALTO ADRIATICO

Dodicesima serata - tegnue 2019

 

L’Adriatico è un mare racchiuso tra aree continentali e comunica con il resto del Mediterraneo attraverso lo stretto di Otranto. Il suo bacino settentrionale è racchiuso su tre lati: Croazia ad est e Italia a nord e a ovest fino alla foce del Po. Dai suoi fondali, caratterizzati da sedimenti sabbioso-fangosi, affiorano particolarissime formazioni rocciose, uniche nel loro genere, che rappresentano delle vere e proprie oasi di biodiversità. Scoperte fra il settecento e l’ottocento dall’abate e naturalista chioggiotto Giuseppe Olivi, i pescatori veneti battezzarono questi affioramenti con il nome dialettale di “tegnùe”o “tenute”, che significa “trattenute“, perché trattenevano e strappavano le reti a strascico durante le attività di pesca. Le Tegnùe possono avere estensioni e forme molto diverse, la superficie può andare da pochi metri quadrati a diverse migliaia. L’altezza dal fondale in cui si trovano è anch’essa variabile: da qualche decina di centimetri (ad es. Tegnùe di Malamocco) a più metri (ad es. Tegnùe di Caorle). Esse si concentrano soprattutto nell’area direttamente antistante il Golfo di Venezia, fra Caorle e Chioggia a profondità molto diverse, tra gli 8 e i 40 metri. La particolarità delle rocce che le caratterizzano è data dalla loro origine; sembra infatti che si siano originate in tre diversi modi: consolidamento di sabbie in substrati duri, processi di precipitazione dei carbonati, dalla reazione tra gas metano e acqua marina, e processi sedimentari e organogeni, dovuti alla sovrapposizione continua delle parti calcaree di organismi marini animali e vegetali morti. Nel corso degli ultimi 3-4.000 anni queste tre modalità in alcuni casi si sono susseguite più e più volte, in altri sono avvenute in contemporanea e in altri ancora hanno caratterizzato le rocce in modo univoco.

Le Tegnùe, quindi, sono dei veri e propri “reef” naturali; differiscono da quelli tropicali perché i principali organismi costruttori non sono i coralli bensì le alghe rosse calcaree, chiamate “Corallinacee”: PeyssonneliaLithothamnium Lithophyllum. Tra gli organismi costruttori vanno annoverati anche briozoi, cnidari incrostanti, tra cui il ‘corallo’ del Mediterraneo, Cladocora caespitosa, e policheti serpulidi; la loro sovrapposizione determina la crescita delle tegnùe in lunghezza, larghezza ed altezza; accrescendosi con velocità e modalità diverse, dando origine alle forme più strane, ricche di porosità e anfratti.

In un mare con fondale caratterizzato da sedimento mobile, la presenza di questi substrati rocciosi funge da punto di ancoraggio per vari organismi “sessili”, alghe incrostanti, spugne, ascidie coloniali, anemoni, policheti sedentari, coralli, e offre protezione e riparo a ricci, stelle, ofiure, paguri, astici, piccoli pesci bentonici. Tutti questi organismi rappresentano a loro volta una ricca e variegata disponibilità alimentare, che attira la fauna ittica che transita nell’Adriatico, come branzini e banchi di merluzzetti in cerca di cibo e di riparo. I pesci che popolano le tegnùe sono numerosissimi: tordi, bavose, castagnole, sacchetti, scorfani, gronghi e specie ittiche pregiate come corvine, pagelli, saraghi.
Le tegnùe nel Mediterraneo sono un ambiente unico nel suo genere e rappresentano, quindi, un patrimonio biologico di inestimabile ricchezza: struttura e morfologia, infatti, favoriscono sia un aumento della diversità nei popolamenti animali e vegetali del fondale sia un aumento di specie ittiche pregiate.

 

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